Creatività: Normalissima improbabilità? - Simone D'Alessandro ospite di ArtEX

Questa storia del genio solitario non mi ha mai convinto, anche perché è funzionale a un dato sistema attuale individualistico.

É un’attenta riflessione sulla creatività e sui suoi meccanismi quella proposta da Simone D’Alessandro, docente di sociologia dei processi creativi all’Università D’Annunzio di Chieti – oltre che Direttore ricerca della Fondazione Hubruzzo Industria Responsabile, Direttore ricerche di Carsa, copywriter, giornalista e scrittore – nel seminario tenuto all’Università Europea del Design di Pescara per il ciclo di incontri ArtEX. Il tema di oggi è “Creatività. Una normalissima improbabilità.” 

Cosa vuoi esprimere attraverso questa frase? 

“E’ una frase che ho tratto da un bellissimo libro di Niklas Luhmann “Amore come passione”. 

In questo libro Luhmann ha indagato come l’amore cambia il suo codice, analizzando un ampio periodo, dal 1300 fino ad oggi. Quello che fa notare lo studioso è che è strano che il cambiamento di regole incida sulle emozioni. 

E’ vero quello che afferma, ma non è solo questo. 

L’amore è una normalissima improbabilità: è normale che si scateni ma è anche molto improbabile. Questo vale anche per il processo creativo: non è possibile determinarlo quotidianamente con una prassi ordinaria ma sai che c’è e non puoi eliminarlo e sai che appartiene ad ognuno di noi. 

Cosa possiamo fare allora? 

Da un lato, e questo è il sapere, allenarci e quindi capire se ci sono delle regole. In questi anni ho studiato più di 600 autori, ho censito 200 tecniche di stimolazione del processo creativo e ho visto che ognuna di queste tecniche, pur nella diversità, ha delle regole comuni: il paradosso, la frammentazione, la combinazione e il rovesciamento.

 Riguardo alla prima, pensiamo alla frase di Oscar Wilde “posso resistere a tutto, tranne che alle tentazioni”. Secondo la regola della frammentazione, un problema lo dividi e ti accorgi che una parte del problema è la soluzione. 

Il rovesciamento: guardare le cose da un’altra prospettiva o, utilizzando la combinazione, unire diversi elementi porta a trovare la soluzione. Significa che siamo intrisi di creatività. La dialettica è il primo processo; a questo bisogna unire il contesto, la casualità”. 

Nella tua riflessione sulla creatività ti diverti a “ridimensionare la figura del genio solitario”. 

“Sì. Le più grandi scoperte o invenzioni sono sempre state collettive, sincroniche o diacroniche. 

Questa storia del genio solitario non mi ha mai convinto, anche perché è funzionale a un dato sistema attuale individualistico. Nel passato la creatività era collettiva. I più grandi capolavori della letteratura come l’Iliade e l’Odissea, anche se si attribuiscono ad un unico autore perché ‘fa brand’, sono fatti di tanti racconti. 

La Bibbia è un’operazione collettiva. La stessa cosa si può dire riguardo alle grandi invenzioni. Basta pensare ad Einstein che non è arrivato alle sue conclusioni da solo, ma ha avuto l’aiuto della moglie ed è stato favorito dall’aver letto tantissimo. 

Allora dobbiamo essere consapevoli che esiste una genialità sociale: ognuno di noi è geniale in qualcosa, solo che ci sono delle condizioni sociali, economiche e culturali che bloccano alcuni e favoriscono altri. Molte persone dimenticano la loro vocazione perché devono risolvere altri problemi. 

E se non ci alleniamo più, torniamo indietro. 

Allenamento, tecnicalità, vocazione sono legate da un equilibrio precario. Dobbiamo ripristinare questa cultura collettiva del processo creativo. Alcuni hanno paura di questo approccio di tipo collaborativo/relazionale. 

C’è diffidenza verso una visione di questo tipo perché è contraria alla prassi abituale, ai meccanismi ormai consolidati”.

Creatività e innovazione: quali sono i punti di unione e le differenze? 

“Dopo un percorso che mi ha permesso di fare moltissime pubblicazioni (85) di carattere internazionali, ho cercato di capire quali fossero le dinamiche dei processi creativi applicati a diversi settori. Ad esempio allo sviluppo locale, alla comunicazione di impresa, al linguaggio pubblicitario, alla dimensione inventiva; cioè, quali sono i rapporti tra il processo creativo, l’innovazione e l’invenzione. 

Si tratta di tre cose distinte che hanno tra di loro rapporti problematici. Perché un individuo potrebbe avere una creatività spinta che però non produce innovazione. Oppure avere una creatività spinta funzionale all’invenzione, che però non innesca un processo innovativo. L’innovazione, che può cambiare il mondo, potrebbe anche non essere mai applicata”. 

La comunicazione fatta attraverso i social ha portato sostanziali cambiamenti nelle modalità comunicative: ognuno può liberamente dire cosa pensa, senza avere conoscenze approfondite della tematica trattata. Cosa può produrre questa comunicazione a livello sociale? “Se non si ripristina la funzione del rigore intellettuale, accade che chiunque può assurgere a ruolo di opinion leader di qualsiasi tema purché abbia tantissimi follower.

Tante volte si sono creati dei paradossi per cui una persona assolutamente incompetente, ma capace di portare diecimila seguaci all’interno della sua community, aveva più presa e in alcuni casi più visibilità di una persona che invece era competente ma che non aveva questa capacità divulgativa relazionale di affermarsi all’interno dei social. 

E questo sta creando delle grandi fratture. Ma è un percorso che viene da lontano, dagli anni ’70. Perché ad un certo punto abbiamo isolato la funzione degli intellettuali, come i giornalisti di trent’anni fa. Non dimentichiamo che anche il grande avvocato è un intellettuale, non soltanto il filosofo o il sociologo. 

Questa parte della dimensione “pensante” che una volta costituiva l’apparato dirigenziale di qualsiasi nazione, è diventata collaterale. L’intellettuale non cambia più i processi. Non c’è più chi controlla i processi dicendo che una cosa è credibile o non lo è. Allora diventa ancora più facile distruggere i sistemi di credibilità o costruire movimenti bipolari, per cui se non sei pro sei contro. 

E ovviamente i miliardi di sfumature che sono nel mezzo non ci sono più. Eppure è la sfumatura che fa la creatività, la democrazia. Nel mio percorso cerco allora di far capire che per quanto noi oggi ci possiamo divertire a distruggere tutto quello che è stato costruito in migliaia di anni, le dominanti di questa sfumatura, questo sentiero creativo ma anche sapienziale, è l’unica via che ci consente di costruire qualcosa. L’altra via, che è superficiale, che è basata sulla polarizzazione, è solo distruzione di senso e di società”. 

Creatività, oggi più che mai significa, dunque, attenzione, ascolto. 

“Sì, unitamente ad altre cose. E’ anche amore, disattivazione di una società della tecnica, dove rischiamo di essere tutti funzionari al servizio del sapere. La maggior parte dei pubblicitari che conosco, oggi non sono più creativi ma insipienti, perché sono diventati funzionari dello slogan e delle esigenze del cliente e del brief. Anche molti artisti sono diventati funzionari della tendenza del momento. 

Magari rinunciano anche alla loro vera vocazione per soddisfare la richiesta del momento. Invece il processo creativo è una cosa che tiene assieme ordine e disordine, ma soprattutto la Beruf, che significa sia vocazione che professione”.

Articolo di Emanuela Costantini