Come proteggere le loro fragilità e aiutarli a diventare più forti?
La psicologa e psicoterapeuta Giorgia Liberatoscioli ha provato a dare risposte esaustive a queste domande nel corso del seminario “Il potere curativo del legame”, a cui hanno preso parte gli studenti dei primi anni dei corsi di Fashion Design, Graphic Design e Interior Design dell’Università Europea del Design di Pescara.
“Nel seminario ho voluto parlare della potenza dei legami per far capire ai ragazzi quanto abbiano bisogno di tutti questi contatti protettivi – spiega Giorgia Liberatoscioli – All’inizio il legame più importante è quello con la famiglia, poi si instaurano tutti gli altri.
Sembra che questi ragazzi abbiano tutto, ma spesso mancano loro delle basi solide a livello emotivo.
Una cosa che mi colpisce molto è che, rispetto alla mia generazione, per esempio, parlano più facilmente del disagio che stanno vivendo ma lo utilizzano come uno scudo, come a voler dire “ho questo problema ma ho bisogno che mi veniate incontro”.
E allora il messaggio che voglio far arrivare agli studenti dell’Università Europea del Design di Pescara è che è importante che gli altri ci stiano vicino, ma il primo che deve fare un passo verso l’altro è la persona che vuole ottenere qualcosa.”
Il timore di affrontare la realtà, di confrontarsi con gli altri è collegato al periodo del lockdown?
“In parte sì, perché ha acuito i disagi che prima erano latenti.
In più i ragazzi hanno avuto poche opportunità di confrontarsi con gli altri, soprattutto con i pari. E abituati al lockdown, a parlare attraverso un computer e agli altri contatti mediati, una parte di loro ha avuto difficoltà anche a rientrare nel quotidiano. Anche perché oggi i ragazzi sentono una grande incertezza verso il futuro.”
Che ruolo hanno i social in tutto questo?
“Credo che i social, come tutte le innovazioni, hanno delle utilità, come il fatto di mettere in contatto persone lontane. Ma non esistono solo i social.”
Spesso i social vengono utilizzati come un filtro che scherma la realtà e le problematiche.
“Sì. A volte i ragazzi si conoscono attraverso i social e poi sono terrorizzati dall’idea di incontrarsi.
L’ansia, gli attacchi di panico di cui soffrono molti giovani oggi sono legati alla paura di affrontare la realtà.”
C’è una ricetta per evitare l’insorgenza di queste paure?
“La ricetta che sto cercando di dare attraverso questo seminario è quella di uscire dalla solitudine, rendersi conto che ci sono tante altre persone nella stessa situazione.
Uniti si arriva a mete che da soli sono irraggiungibili. “
Quindi è importante “fare gruppo”?
“A seconda del bisogno. A volte può bastare il gruppo dei pari, in altre situazioni serve il consiglio di un adulto e in altre ancora è necessario iniziare un percorso con un esperto.
Perché ognuno ha un suo vissuto.”
Bisognerebbe educare i ragazzi a pensare in questo modo?
“Sì. Non dovremmo arrivare ad offrire loro un aiuto quando già frequentano la scuola superiore o l’università. Bisognerebbe iniziare ad ‘alfabetizzarli’ prima, anche da piccolissimi, lavorando sull’educazione all’emozione.”
Qual è l’emozione che i ragazzi oggi manifestano maggiormente?
“Direi la paura, anche a giudicare dalla difficoltà che spesso hanno a esporsi. Superficialmente possono sembrare spavaldi, ma dentro temono il giudizio degli altri. Sono anche convinta che, nel momento in cui trovino l’ascolto giusto ed il coraggio di esporsi, siano pronti a portare fuori una ricchezza emotiva che può costituire la loro vera forza.”